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Livorno e il suo poeta Giorgio Caproni
caproni-targa-livorno
Quanti se ne sono andati…
Quanti.
Che cosa resta.
Nemmeno
il soffio.
Nemmeno
il graffio di rancore o il morso
della presenza.
Tutti
se ne sono andati senza
lasciare traccia.
Come
non lascia traccia il vento
sul marmo dove passa.
Come
non lascia orma l’ombra
sul marciapiede.
Tutti
scomparsi in un polverio
confusi d’occhi.
Un brusio
di voci afone, quasi
di foglie controfiato
dietro i vetri.
Foglie
che solo il cuore vede
e cui la mente non crede.
Giorgio Caproni

Giorgio Caproni (1912-1990) è stato un poeta, traduttore e critico letterario italiano, tra le voci più significative del Novecento. La poesia condivisa, intitolata “Quanti se ne sono andati…”, fa parte della raccolta Il passaggio d’Enea (1956).

Il testo esprime un senso di vuoto e perdita profonda. L’assenza delle persone care è così totale che non ne resta nemmeno la memoria, l’impronta di un ricordo o il segno di una presenza. La poesia è dominata da immagini di leggerezza e di inconsistenza, come il vento sul marmo, l’ombra sul marciapiede, e il brusio delle foglie. Questi elementi sottolineano la completa evaporazione delle persone, scomparse senza lasciare traccia.

L’uso di un linguaggio semplice e diretto, insieme alla punteggiatura e alla frammentazione dei versi, crea un’atmosfera di sospensione e di profondo dolore. Il poeta sembra chiedersi cosa rimanga di un’esistenza quando non c’è più nemmeno la traccia di chi l’ha condivisa. La conclusione è un’immagine potente: un dolore così interiore e privato da essere visto solo dal cuore, mentre la mente fatica a crederci.

Durante il periodo della sua infanzia livornese (fino al marzo del 1922), visse anche in via Palestro e successivamente in via De Larderel.

Oggi una targa posta in Corso Amedeo ricorda la sua casa natale.

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