
Nel cuore del Duomo di Livorno, nella Cappella del Santissimo Sacramento, si cela un capolavoro di rara intensità emotiva: il “Cristo coronato di spine” del Beato Angelico. Questa piccola tavola (circa 55 x 39 cm), realizzata con la raffinata tecnica della tempera e dell’oro, offre un primo piano del volto di Gesù negli ultimi, strazianti momenti del suo calvario.
L’opera, di datazione incerta ma oscillante tra la seconda metà degli anni trenta e il 1450 circa, è un unicum nella produzione del frate di Fiesole per la sua concentrazione esclusiva sul volto sofferente di Cristo. L’Angelico, maestro nel cogliere la spiritualità e la profondità dei soggetti sacri, riesce qui a esprimere con toccante realismo e al contempo con una sublime bellezza la passione di Gesù.
Il dipinto è pervaso da un intenso colore rosso: non solo la veste scarlatta, simbolo della regalità derisa, ma anche il sangue che scende dalle ferite del capo, mescolandosi a lacrime e sudore. Gli occhi di Cristo, pur velati di tristezza e interrogazione, mantengono una dolcezza e una dignità che trascendono la sofferenza fisica, riflettendo la fragilità umana e al tempo stesso l’amore incondizionato di un Dio che si sacrifica per la salvezza dell’umanità.
Sulla bordura dello scollo della veste è incisa l’iscrizione “REX REGUM D[OMI]N[U]S D[OM]I[NA]T[IS]” (Re dei re e Signore dei signori), un potente contrasto con la condizione umiliata del Cristo. Sull’aureola, invece, sono riconoscibili i monogrammi della Passione, a sottolineare ulteriormente il sacrificio divino.
La paternità dell’opera fu a lungo dibattuta, inizialmente attribuita alla “Scuola di Giotto”, ma la critica più recente è concorde nell’assegnarla al Beato Angelico, riconoscendo la sua sensibilità artistica e la sua maestria, eredità anche della sua prima attività di miniatore.
Il “Cristo coronato di spine” ha avuto una storia complessa, con spostamenti e diverse esposizioni. Inizialmente destinato al Museo Civico Giovanni Fattori come deposito da Santa Maria del Soccorso, ha poi partecipato a importanti mostre internazionali, come quella sul volto di Cristo a Colonia in occasione della XX Giornata Mondiale della Gioventù (2005) e la monografica sul Beato Angelico al Metropolitan Museum di New York (2005-2006).
Nel 2006, in occasione del bicentenario dell’istituzione della Diocesi di Livorno, l’opera ha finalmente trovato la sua collocazione definitiva e meritata nella Cappella del Santissimo Sacramento del Duomo, sostituendo un Sacro Cuore di Gesù di autore minore.
Il restauro e l’allestimento sono stati sostenuti dalla Fondazione Maurizio Caponi, garantendo la conservazione e la valorizzazione di questo tesoro d’arte e di fede.
Il “Cristo coronato di spine” del Beato Angelico non è solo un’opera d’arte di inestimabile valore, ma anche un potente oggetto di meditazione. Il suo “Volto” invita lo spettatore a riflettere sulla verità dell’umanità di Gesù e sulla profondità del suo sacrificio, offrendo un’immagine di redenzione che si prolunga dall’eternità nei giorni di chi la osserva. Un’esperienza artistica e spirituale che arricchisce il patrimonio del Duomo di Livorno e di tutta la città.
Roberto Longhi, uno dei più influenti e innovativi critici d’arte del Novecento italiano, ha avuto un ruolo cruciale nella riattribuzione e nella valorizzazione del “Cristo coronato di spine” del Beato Angelico, oggi nel Duomo di Livorno.
Prima dell’intervento di Longhi, l’opera era stata a lungo attribuita a generiche “scuole” o a maestri minori, e la sua importanza nel corpus del Beato Angelico non era pienamente riconosciuta. Fu proprio Roberto Longhi, nel 1928, con il suo saggio “Un dipinto dell’Angelico a Livorno” (pubblicato in “Pinacotheca”), a dichiarare per primo e con autorevolezza che il dipinto era un’autentica opera del Maestro toscano.
L’intuizione di Longhi si basava sulla sua profonda conoscenza della pittura fiorentina del Quattrocento e sulla sua capacità di cogliere le peculiarità stilistiche e spirituali di ogni artista. Nel “Cristo coronato di spine”, Longhi riconobbe la raffinata sensibilità cromatica dell’Angelico, la sua capacità di rendere la sofferenza divina con una delicatezza e una profondità ineguagliabili, nonché la sua peculiare pennellata, frutto anche della sua formazione di miniatore.
L’attribuzione di Longhi fu un punto di svolta. Da quel momento in poi, la critica successiva ha generalmente confermato la sua tesi, consolidando la paternità del dipinto e collocandolo in una posizione di rilievo tra le opere del Beato Angelico.
Longhi non si limitò a una semplice attribuzione; spesso, nei suoi scritti, approfondiva anche la possibile datazione delle opere e le loro relazioni con altri lavori dell’artista o con la produzione contemporanea. Per il “Cristo coronato di spine” di Livorno, Longhi avanzò una possibile datazione tra il 1430 e il 1435, accostandolo al “Tabernacolo dei Lanaioli” (1433), una delle opere più note del periodo giovanile dell’Angelico. Successivamente, altri studiosi hanno proposto datazioni leggermente diverse, anche in relazione a possibili confronti con opere fiamminghe (come una copia del “Volto del Cristo” di Jan van Eyck).
In sintesi, il contributo di Roberto Longhi per il “Cristo coronato di spine” del Duomo di Livorno è stato fondamentale e pionieristico. È grazie alla sua acutezza critica che oggi possiamo ammirare quest’opera nel suo giusto contesto, riconoscendone la mano del Beato Angelico e apprezzandone appieno il valore artistico e spirituale. Il suo saggio del 1928 rimane un riferimento imprescindibile per lo studio e la comprensione di questo capolavoro.
Beato Angelico, il cui vero nome era Guido di Pietro, e successivamente conosciuto come Fra’ Giovanni da Fiesole, è stato un importante pittore italiano del primo Rinascimento. Nacque a Vicchio di Mugello, vicino a Firenze, intorno al 1395 e morì a Roma il 18 febbraio 1455.
Era un frate domenicano e le sue opere sono caratterizzate da una profonda spiritualità e da un uso innovativo della luce e della prospettiva, unendo la tradizione medievale con le nuove idee rinascimentali. Tra le sue opere più celebri si annoverano l’Annunciazione (ne esistono diverse versioni, tra cui quella del Museo del Prado a Madrid e quella nel Convento di San Marco a Firenze) e l’Incoronazione della Vergine.
Giovanni Paolo II lo ha proclamato patrono universale degli artisti nel 1984. Molte delle sue opere si trovano a Firenze, in particolare nel Museo di San Marco, che un tempo era il convento in cui visse. È sepolto nella Basilica di Santa Maria sopra Minerva a Roma.
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